Trentino,
19 aprile 2011
Libri: Abate tra poesie e «proesie»
Un diario dell'anima strettamente collegato alle
sue opere narrative
di Maria Viveros
TRENTO. Leggere "Terre di andata" (Il Maestrale, 160
pp., 14 euro), il nuovo libro di Carmine Abate che da domani sarà in
libreria, significa accostarsi al nucleo della matrice creativa dello
scrittore per ripercorrerne il mondo tematico in maniera inedita. Si
tratta, infatti, della sua prima raccolta di poesie e di "proesie", come
le definisce lui stesso, cioè un «amalgama di prosa e poesia, ovvero
prose con il ritmo, la musicalità e le forme stilistiche delle poesie, e
poesie in forma di prosa o poesie antiliriche».
Composte fra il 1977 e il 1995, sono state organizzate così da
costituire una sorta di diario dell'anima, le cui pagine sono
strettamente collegate alle sue opere narrative, in particolare a
"Vivere per addizione e altri viaggi" (Mondadori), raccolta di racconti
complementare a questa. In ambedue Abate dimostra di avere conquistato
la consapevolezza di "vivere per addizione", vale a dire sommando, senza
rinnegarle, le diverse culture delle "terre di andata", i luoghi della
sua vita. A tal riguardo in "Terre di andata" ha la valenza di simbolo
il termine "dimora", sinonimo di "sosta" lungo il percorso, non soltanto
fisico-geografico, di un viaggio in divenire, metafora dell'esistenza.
Le "proesie" di Abate, perciò, sembra che siano state scritte oggi e,
anche quando recano precisi riferimenti temporali e spaziali riferiti a
quegli anni, parlano al presente, il presente di tutti perché (ed è
questa la forza della letteratura) possono essere sciolte dalla
contingenza del momento che ne ha determinato la scrittura. Nella prima
sezione, infatti, "Dimore tra me", pur prevalendo la vicenda
autobiografica dell'autore, legata all'esperienza dell'emigrazione, la
materia drammatica, che è resa in forme dai tratti iperrealistici, si
sublima in materia indeterminata. Lo suggerisce, in "Qui la vita",
l'immagine della crisalide che muore per offrire un filo di seta.
La seconda sezione del libro, "Dimore di me", ci offre, invece, la
delusione e la rabbia del giovane intellettuale Abate che si rende conto
dello scollamento fra la politica e le masse ("Si parla di teorie./ E
fuori mio padre respira catrame/ asfalta le strade nella patria di
Weber/ di Marx..."). Eppure egli conserva ancora oggi la speranza nella
forza della parola capace di modificare la realtà, poiché si augura di
«contribuire attraverso questo libro a ribaltare i luoghi comuni, a
cambiare qualcosa nelle coscienze e negli sguardi degli altri, per
distruggere i pregiudizi».
Anche i testi più sperimentali della raccolta, riuniti in "Di more", la
terza sezione, non sono mai esercizi di stile fine a se stessi. Parole
spesso isolate o sottintese, che a volte compongono un intero verso,
giochi di sincretismo linguistico in italiano, tedesco e arbëresh
(l'italo-albanese parlato nel suo paese d'origine, Carfizzi, in
Calabria), sono il risultato di un attento lavoro concettuale, in cui
l'apparente divertissement cela il simbolo, assurgendo a manifesto di
poetica.
Nell'ultima delle quattro sezioni, "Dimore di noi", i componimenti sono
presentati in ordine "decronologico" in modo tale che l'ultima "proesia"
possa ricollegarsi alla prima della raccolta e creare, in tal modo, un
percorso circolare. Qui compare la "donna luminosa", Meike, e i
componimenti che le sono dedicati paiono degli schizzi ad acquerello,
con le note cromatiche fatte di azzurri, blu, gialli e verdi che parlano
di lei. È Meike a rappresentare per Abate la "Dimora" per antonomasia
se, durante un viaggio dalla Germania verso la Calabria, scrive che ha
"voglia di tornare/ indietro nach Hause/ da te". Ed è lei che ha
permesso ad Abate di appianare i conflitti e di ricomporre la rabbia in
un equilibrio nuovo, così che il loro incontrarsi ha portato alla
trasformazione dei due esseri in un "noi", aiutandolo a vedere e a
capire il proprio mondo, risultato di "addizioni".
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