Avvenire, 25 giugno 2011


La patria e le radici di una «emigrazione all’italiana» in Abate 
 di Pierangela Rossi

 

Storia di una «emigrazione all’italiana», questo testo di Carmine Abate, sempre interessato ai migranti, si gioca tutto sull’elemento biografico, forse più semplice da verificare se espresso in forma lirica. Perché Abate, che pure ha esordito con un libro di versi, Nel labirinto della vita (1977), è un narratore e della sua esperienza ha già fatto tesoro in volumi precedenti. Nato nel 1954 a Carfizi, una comunità italo-albanese della Calabria (arbereshe) è emigrato da giovane ad Amburgo. Oggi vive e insegna in Trentino e questo Terre di andata è rigorosamente «riservato» alla sua personalissima storia. Raccontata all’inverso, con i testi ultimi all’inizio e i più «antichi» alla fine.
«Torno a casa... reduce da una guerra perduta, / la valigia gonfia d’aria / straniera, che calcerei / come un pallone contro i muri / vetrati della stazione, /la voglia di tornare / indietro nach Hause / da te»: è dedicata a una donna la poesia o meglio la «proesia», come Abate chiama questi testi tra prosa e poesia, che concludono la raccolta. Il suo viaggio in Europa è anche interiore: come è stato detto, tra il diario e la favola. Premessa e suggello alle pagine il dubbio se, tra le singole pieghe del testo, ci si si possa capire o no: «Alla fine / miei cari / vi proporrò un viaggio nel mio cuore... nostalgie a mo’ di compensazione // Ma prima /cari miei / un problema prosaico: / riusciremo a capirci? e poi /che cambierà?» Eterno dubbio intorno al «senso» della poesia.
Descrive in dettagli minuti «i volti emaciati dei ghetti» che a volte sorridono, ma lì sogna anche «l’estate / la farfalla / la vita».
Descrive come il padre emigrante visse «quel paese» dove lui sta a «denti stretti pugni chiusi». «Quel paese è la speranza»/ dice lui e mitizza il passato / la sua infanzia di lutti i banchetti tra amici / le serenate le lotte per la terra e per il lavoro / il suo primo contratto all’estero come minatore». La casa dell’emigrante è di «muffa» «sulle sedie sui letti sui muri». è «un problema al ritorno». «In baracca» spiega gli elementi minimi per sopravvivere: «E ricorda, mi dice/si dice / da vent’anni allo specchio, / sparagnare sul pane / alla fine t’ammali e qua / niente vale come la salute». C’è posto, per queste proesie e croniversi stilisticamente un po’ disordinati (ma che felicità leggere di nuovo versi liberi) anche di dichiarazioni di vita. In «Germanese» si constata che «Nel presente / è difficile vivere/ / Il resto è un paesaggio di fiaba / coperto di neve bianchissima // L’eroe vince sempre / e il drago sconfitto ma vivo / si dilegua nel bosco incantato». o di nuovo: «sentivo la mia anima sciogliersi come un nodo di neve» e «Malgrado tutto / è bella la vita, / gridavi a Francoforte / tra lo sferragliare / dei treni maledetti». Resta, come patria e radice, la donna amata.