La Gazzetta del Sud
Martedì, 13 giugno 2000


Riscoperta delle origini e dell'identità arberëshe
Ripubblicato «Il ballo tondo» di Abate

di Carlo Carlino


A lla sua uscita, lo scorso anno, La moto di Scanderbeg di Carmine Abate (Fazi editore) fu salutato da unanimi consensi. La critica parlò del romanzo come di una «rivelazione», di una «vera scoperta», e qualcuno lo definì tra le opere migliori della passata stagione letteraria. Anch'io su queste pagine sottolineai la grande coralità di quelle pagine sorrette dal mito delle origini, dalla riscoperta dell'identità altrimenti dispersa, ricomposta tra memoria e fantasia in un accordo dove la lingua si svolgeva come una narrazione orale. Un'opera felice e originale che confermava le doti di questo giovane scrittore di Carfizzi, un paesino dell'alto crotonese di origini albanesi, il quale vive da molti anni in Trentino dopo una lunga permanenza in Germania, e che sta per essere pubblicata in inglese da Picador insieme al primo romanzo di Abate, Il ballo tondo, apparso nel 1991 da Marietti, il quale alla sua uscita forse non ebbe i giusti riconoscimenti e le dovute attenzioni. E con grande intuizione sempre l'editore Fazi ripubblica adesso Il ballo tondo (pp. 217 - lire 22.000), rivisto dal suo autore, il quale ha apportato qualche lieve modifica rendendo più scorrevoli alcuni passaggi. Un'occasione per leggere (o rileggere) questo romanzo che narra la storia della comunità albanese di Hora e della famiglia Avati. Una famiglia singolare, dove troneggia la figura del padre, chiamato il Mericano, uomo impetuoso, instancabile, pieno di iniziative, con «i baffetti curati alla Clark Gable» ed emigrato in Germania, alla ricerca di un riscatto e con il sogno di una vecchiaia tranquilla nel proprio paese. Intorno a lui ruotano le altre figure della storia, a cominciare dalla moglie, Zonja Elena, e dalle figlie,Orlandina e Lucrezia, che vivono tormentate storie d'amore: la prima con un trentino molto più anziano di lei, uomo tranquillo e benestante a cui il padre ha pensato di dare in sposa la figlia; la seconda, bella e affascinante, con il maestro Carmelo Bevilacqua, giovane alla costante ricerca di ricordi della vecchia storia della comunità albanese, che sposerà la ragazza dopo un lungo travaglio e una fuga in Somalia, accoltellato in maniera poco chiara dopo aver confidato la sua volontà di «scappare da quel buco fuori dal mondo» e quindi di non voler più mantenere la promessa di matrimonio. E poi il leggendario nonno Lissadnro, custode delle antiche memorie e dei vecchi riti albanesi, espressione di saggezza e del gusto della vita che sta per scomparire, figura amplificata del rapsodo Luca, spirito enigmatico e altra voce che fa rivivere con i suoi canti il passato mitico della comunità. Infine, Costantino, il più giovane della famiglia, intorno al quale si compongono le diverse storie nel corso del suo passaggio dall'adolescenza all'iniziazione alla vita, segnata dal passato mitico, dalle origini e dalle tradizioni, mentre avanza inesorabilmente la modernità schiacciando quei segni di una storia quasi magica su cui troneggia la figura di Scanderbeg, l'eroe albanese che guidò il suo popolo contro i turchi, che presto al ragazzo diventa «più familiare di Garibaldi». Un'immagine trasfigurata da Costantino, nella cui mente rimane impressa l'immagine dell'aquila bicipite insieme alle antiche storie e alle leggende che corrono il rischio di rimanere solo lontani sogni, distrutti dalla travolgente diffusione del nuoto, dalla fuga inesorabile verso la Germania alla conquista di un lavoro: «Dunque bisognava rassegnarsi: nessuno avrebbe parlato dell'acquila a due teste, né del passato mitico che li accomunava; il presente prosaico li schiacciava senza pietà». Questa narrazione continuamente altalenante tra presente e passato, tra suggestioni e rievocazioni, è la chiave che anima una scena come sospesa tra coralità e introspezione. Anche in La moto di Scanderbeg Abate ha messo su questo sinuoso duetto, composto sempre tra lo scenario di Hora, la ricerca di un'identità perduta e l'incombere del presente, della realtà, allargandola tra Roma e la Germania e inserendo la figura di una ragazza integrata pienamente in un contesto sociale e culturale diverso che accentua la distanza tra il presente e il passato. Ma ne Il ballo tondo la cifra narrativa è più corale, ritmata, senza nessun cedimento, condotta su un'oralità che amplifica gli echi e le suggestioni del mito, di un mondo variopinto e composito che si schiude tra struggenti rievocazioni intercalate da diverse fonti antropologiche e storiche, tra attente ricostruzioni di riti e canti, come il ballo tondo, appunto, la vallja, che si svolge coinvolgendo tutti gli invitati durante la festa di fidanzamento di Lucrezia e che riannoda i tanti fili di una trama che alla fine diventa un arabesco, un gioco sottile tra fantastico e reale, amplificando l'epopea di questo racconto magico. E anche la figura femminile, la Romana che conquista l'ormai cresciuto Costantino, in procinto di iscriversi all'università di Roma, assume i caratteri di una presenza meno invadente, assolutamente non estranea al perfetto equilibrio di questo bel romanzo di formazione. Una prova narrativa ricca di energie e di passioni, piena di grazia, di vitalità e di magia, che oltre alla riscoperta delle origini e dell'identità arberëshe è anche una struggente storia, un canto epico che rende omaggio a un mondo ricco di incanti e di suggestioni.