La Repubblica
Venerdì 12 maggio 2000



un convegno domani al Lingotto sui narratori stranieri che scrivono in italiano
Con le nostre parole


di Francesco Erbani



Domani a Lingotto, organizzato dal Grinzane Cavour e intitolato “I vostri occhi, le nostre parole”.
Non sono tanti e nessuno di loro ambisce al peso che Salman Rushdie e altri scrittori indiani hanno assunto sulla scena inglese. Ma sono una significativa fetta di quel multiculturalismo italiano su cui si accendono i riflettori della Fiera torinese. E a loro merito vantano il coraggio, a tratti la tenerezza, di scrivere in una lingua che non è la loro e che campicchia ai margini dell’editoria planetaria.
Il problema principale è quello di organizzare la propria creatività in un italiano che non è il proprio, di dar forma italiana alla nebulosa di idee e di storie che nascono altrimenti organizzate. Younis Tawfik, scrittore iracheno che vive a Torino, autore di un romanzo molto apprezzato, “La straniera”, teme che un autore allogotto diventi ostaggio della nuova cultura, allontanandosi sempre di più dalla propria. Sono i rischi di un’integrazione che diventa abbandono;
I temi dell’emigrazione sono i prediletti da Carmine abate, albanese nato a Carfizzi in Calabria, dove i suoi antenati giunsero alla fine del quattrocento e dove prevale l’arberesh, l’antica lingua di Tirana. Scrivere in un altro idioma, dice Abate (che dopo “La moto di Scanderberg” pubblica in questi giorni “Il ballo tondo”, entrambi editi da Fazi), ha il vantaggio di offrire un certo distacco dalla materia e di eliminare la nostalgia lamentosa.
Muin Madih Masri giunse in Italia da Nablus, in Palestina. Cercava lavoro e quando lo trovò decise di concedersi il lusso di scrivere. da Porto Franco ha pubblicato “Nel sole d’inverno”, una lunga fiaba ambientata durante la guerra dei sei giorni. Masri scrive in italiano dopo essersi imbattuto in Pavese e nel suo “La Luna e i falò”.
Ancora Pavese, e poi Montale, Calvino, Sciascia, Levi, Bianciardi e tanto Boccaccio e Petrarca, studiati quando era ancora in Guatemala, sono il repertorio italiano di dante Liano, autore di “Il mistero di San Andres.
Diversa la storia di Alice Oxman, che da tanti anni vive tra gli Stati Uniti e l’Italia (l’ultimo suo romanzo si intitola “una donna in più”). Per lei l’inglese è “la constatazione delle cose così come sono, con in più una battuta di spirito secco”. L’italiano, invece, “è un lungo percorso avventuroso di cose che ancora non conosco e in questo senso mi riporta ad uno stato di adolescenza in cui il meglio deve ancora venire”.