GAZZETTA DI PARMA
Marzo 2002

"Tra due mari", saga familiare di Carmine Abate ambientata in un Sud fertile e coraggioso

di
Silvia Ugolotti


L'umido, la polvere sembrano quasi appiccicarsi alle dita mentre sfogli le pagine. C'è un'afa densa e pesante che rallenta anche la narrazione, insieme ai ritmi di vita. Scorrono fiacchi a Roccalba, una manciata di case nella Calabria remota, un paesino "appoggiato come un ferro di cavallo su una collina tra due mari, lo Ionio e il Tirreno". "Tra due mari" (Mondadori, 197 pagine, 14,60 euro), tra due culture, tra due generazioni: oscilla la storia raccontata da Carmine Abate, nato in una comunità italo-albanese della Calabria, emigrato in Germania, stabilitosi in Trentino. Con i suoi romanzi tradotti in molti paesi ha vinto diversi premi letterari. Con l'ultimo libro colpisce per la bellezza dell'ispirazione e l'originalità dello sguardo. E' una saga familiare, un romanzo intenso, ricco di vita e fisicità: suoni, odori, luci che escono dalle parole e prendono forma, prepotenti. Una scrittura leggera che affascina quella di Abate, quasi senza accorgersene, un racconto in cui le cose vengono dette tra l'urgenza di comunicare e il bisogno di silenzi. Di lasciare che siano i gesti, i luoghi, le speranze e le amarezze a prendere voce. Florian Heumann, metà tedesco e metà calabrese, vive diviso tra due mondi l'uno opposto all'altro. Si sposta da Amburgo a Roccalba. Da una città che sembra impassibile agli eventi a una terra che porta dentro di sé il fuoco degli istinti. Il furore delle emozioni. Una terra braccata dal sole, segnata da boschi e burroni. Stretta nell'abbraccio torrido dell'aria incendiata: "inferno d'afa che tarpava le ali perfino all'odore dei garofani o delle ascelle, sfocava l'azzurro del mare fino a farlo sparire, assorbiva le grida dei bambini e le voci da cicale delle vecchie sui muretti dei vicoli come un'invisibile parete insonorizzata". Florian se ne innamora piano, piano, lasciandosi conquistare dalla luce bianca, dal frastuono della vita e dal fascino di un passato rimasto immutato nei riti e nelle tradizioni, negli sguardi primitivi della gente, nelle passioni ataviche che rimescolano le viscere. Nel sangue di Florian corre prepotente il coraggio di suo nonno, l'audacia di dar vita ai sogni. Giorgio Bellusci ha un solo desiderio che sconfina nell'ossessione: ricostruire il Fondaco del Fico che si affaccia sullo Ionio e sul Tirreno. E' la locanda del padre diventata leggendaria per aver ospitato nel 1835 tre importanti viaggiatori. Uno di loro era Alexandre Dumas. Della locanda non sono rimasti che le rovine, un fico e il manoscritto di Dumas: "Tutti avevamo capito che i resti del Fondaco del Fico andavano rispettati, come quelli di un morto della famiglia. E che presto Giorgio Bellusci li avrebbe fatti rinascere". Insieme, nonno e nipote, riescono a ridar vita all'albergo, quando Florian impara a sentirsi a casa anche nella terra dove non è nato, ma che impasta il suo sangue. La sua si trasforma piano piano in una sorta di emigrazione alla rovescia. Insieme alle radici ritrovate capisce di aver anche ereditato una delle cose più preziose al mondo: i sogni. E un amore, la passione che lo lega per sempre alla ragazza dagli occhi color dei lecci e dal sangue caldo come l'agosto. La strada però non è semplice. Qualcuno vuole fargliela pagare a Giorgio Bellusci. Ci sono pizzi da saldare, segreti da nascondere, pericoli da scampare. Ma la Calabria che Carmine Abate racconta non è solo quella diffidente e immobile. Al contrario, è il simbolo di una terra in movimento, fertile e coraggiosa.