Il Mattino, 03.02.2006

"Il mosaico di Abate
Albanesi d’Italia un’epopea intinta nel giallo
di Guido Caserza

  Probabilmente č il romanzo della sua maturitā: in Il mosaico del tempo grande (Mondadori, pagg. 238, euro 16,50), Carmine Abate dā sfoggio di una completa padronanza delle tecniche narrative mentre torna a pennellare l’epopea della comunitā italo-albanese di Hora che č al centro del suo lungo affresco narrativo, sin dai tempi dell’esordiale Il ballo tondo, nel 1991. In quindici anni di scrittura Abate ha avuto agio di perfezionare il suo amore per la pura narrazione e per i personaggi a tutto tondo, vividamente mediterranei, che animano la trama di questa lunga epopea dell’emigrazione e che in questo nuovo romanzo si modula secondo la tecnica narrativa del mosaico. Il titolo del romanzo č infatti giā una chiave di lettura strutturale: indica il mosaico a cui lavora Gojāri, ma indica anche la tecnica compositiva del romanzo, una tecnica musiva di mise en abyme per l’appunto, con le singole storie che si incastonano una nell’altra, animando un quadro narrativo molto complesso ma dominato con estrema sapienza. I due livelli si intersecano: Gojāri, che č il Ģraccontatoreģ della storia, compone il suo mosaico dalle cui tessere prendono vita i personaggi dell'intreccio romanzesco. Personaggi che sono i protagonisti dell’epopea di Hora, la piccola comunita arbëresche della Calabria: Laura Damis e il piccolo Zef, suo padre Antonio, invaghitosi e poi sposo di Drita, una ballerina di Tirana, da cui si snoda, a ritroso, il racconto della genealogia dei Damis, fino al papās Dhimitri e ai gloriosi antenati, su su fino a Scanderbeg e al suo pugnale. Č Gojāri che racconta e ricompone le tessere di questo mosaico, č lui il vero narratore onnisciente che affabula Michele, il giovane io narrante deciso a conoscere il segreto di una storia che lo porta indietro nei secoli. Fra i due narratori, fra Gojāri e Michele, si sviluppa la tensione narrativa del testo: Gojāri incarna il tempo storico del romanzo, proiettando la fabula nell’imperfetto narrativo, Michele quello del presente problematico e proietta la fabula in una inattesa dimensione investigativa. Il romanzo, nell’ottica di Michele, procede infatti come un’investigazione, una raccolta di testimonianze utile per ricostruire la genealogia dei Damis. Se l’impianto narrativo č tutto dispiegato intorno all’epopea dell’emigrazione (Antonio che lascia Hora), come succede in tutti i romanzi di Abate, č perō vero che a livello subnarrativo l’epopea prende la forma di un giallo. Disseminando la narrazione di elementi topici (l’oro perduto del paese, il pugnale di Scanderbeg) l’autore instilla nel lettore alcune attese, ma č solo nel finale che lo schema narrativo dell’epopea si infrange e tutto precipita nella struttura del giallo. Prima con i modi del romanzo storico e d’amore, poi con questa virata strutturale, Abate affabula il lettore, lo strega con quella malėa dell’intreccio che č propria dei narratori puri.