Gazzetta del Sud, 13.02.2006

Il nuovo romanzo di Carmine Abate
Il tempo che non passa narrato con un mosaico
di Domenico Nunnari

  Un romanzo costruito con la tecnica del mosaico, tante e forti vicende umane e delicate che si intrecciano come tasselli colorati, per comporre infine un'unica grande storia che ha sullo sfondo l'avventura degli arbėreshė, gli italo-albanesi che fanno parte di una comunitą che da secoli č dentro la storia della Calabria. Carmine Abate, che si conferma una realtą luminosa della narrativa italiana, sceglie, nella sua ultima fatica letteraria, di calarsi nella storia di eroismi, di passioni e di dolorose migrazioni del suo popolo. Con il romanzo, «Il mosaico del tempo grande» (editore Mondadori, pagine 233, euro 16,50), discende nel grembo della madre patria, quasi a voler restituire identitą a un popolo arrivato in Calabria e in altre regioni d'Italia, dopo la morte dell'eroe nazionale Scanderbeg. In quel periodo, a metą del XV secolo, dopo la caduta di Croja e Scutari, ci fu la migrazione pił forte e dolorosa, come pił tardi quando i turchi espugnarono la fortezza di Corone e si impadronirono cosģ, di fatto, dell'Albania. Intorno alle antiche abbazie, alle falde del Pollino, nella valle del Crati e nella Sila Greca, nacquero gli insediamenti pił importanti, dove ancora oggi vivono i discendenti della popolazione trascinata in quella triste diaspora. Abate mette l'amore al centro della sua storia. Amori moderni e amori antichi, si uniscono in un racconto corale che assume la dimensione del romanzo storico robusto, di consistenza.
Hora, l'immaginario paese fondato dagli arbėreshė, teatro dello svolgimento della narrazione, č il luogo dell'arrivo e della partenza: la nuova patria, amata, che ha accolto i profughi fuggiti dall'Albania, ma anche il luogo dove si sogna di ripartire, per tornare alla Hora di lą dal mare, la terra madre da dove si č venuti. Abate ha abituato i suoi lettori alle storie forti dell'emigrazione, alle vicende di uomini che vivono lontano, in comunitą immaginate e che costruiscono fuori, talvolta in solitudine, il futuro dei figli e delle famiglie. «Tra due mari» e «La festa del ritorno», sono tra i libri pił freschi della memoria dei suoi lettori. Storie a volte crudeli, linguaggio forte, valori antichi, confronto tra generazioni, caratterizzano la narrativa di Abate. Con il nuovo romanzo, lo scrittore di origine arbėreshė, scende in profonditą, ha raccolto le storie che stanno dentro il cuore del popolo italo-albanese e le ha volute fissare, perché durino per sempre. Come, appunto, le tessere di un mosaico, perché i mosaici durano pił degli affreschi, pił dei quadri e pił delle parole. E un mosaicista, Gojąri, č una delle voci narranti del romanzo di Abate, in questo riappropriarsi delle radici, nell'intreccio tra patria antica e patria nuova e riconosciuta. In fondo, «Il mosaico del tempo grande», č un grande omaggio alla Calabria, terra di accoglienza, luogo di sintesi di popoli e culture.
Abate ha avvertito l'urgenza narrativa di raccontare amori e sensualitą, gioie e sofferenze, sullo sfondo di una modernitą che tende a livellare e omogeneizzare valori e affetti. Ha voluto recuperare «il tempo grande», il tempo che resiste e non passa. Un tempo salvifico. Abate parte da spunti biografici, come ammette senza finzioni, e poi sviluppa la storia. Inizia dall'amore che sboccia tra un giovane appena laureato e una ragazza giunta a Hora, sulle tracce dei suoi antenati e poi intreccia il suo filo narrativo con amori del passato, passioni, violazioni, nostalgie. Racconta l'Albania della memoria e le fughe che iniziano con la caduta di Enver Hoxa, sui gommoni carichi di disperati. Piccole e grandi storie compongono, come le tessere turchine e violacee del capolavoro che sta realizzando il mosaicista Gojąri, il mosaico del tempo grande. Forti passioni macchiate di sangue, tesori nascosti, e tra questi il pugnale d'oro dell'eroe di Albania, l'odio e le emozioni dell'amore, sono i percorsi a volte indecifrabili di un destino che sta dentro la storia di un popolo. Dą forza al romanzo, lo scrittore di Carfizzi, reinventando una sua lingua, con tracce di arbėreshė e lingua calabrese, che si mescolano e danno robustezza alla narrazione che a volte assume la misteriositą del giallo in un intreccio con la leggenda del popolo di Scanderbeg. Un popolo che lasciandosi alle spalle i segreti e le nostalgie di un tempo riesce ad augurarsi «Tė priftė e mbara», buona fortuna».