Il Crotonese, 31.01.2006
 

E Abate incontrò i personaggi dei suoi libri
di Simone Arminio

  Parma. Se Carmine Abate ha scelto proprio il “Festival della cultura calabrese” per presentare in anteprima nazionale “Il mosaico del tempo grande” la sua ultima fatica letteraria, è perché quella organizzata dall’Associazione dei Calabresi di Parma non è solo la presentazione di un libro.
La serata nella città emiliana può essere infatti letta prima di tutto come l’incontro ideale di Abate con gli stessi personaggi dei suoi romanzi, quegli emigrati che, come Michele, uno dei protagonisti di questo libro, appena pubblicato da Mondadori, abbandonano la propria terra in cerca di un futuro, e che però vivono questa loro particolare condizione in chiave propositiva, come una crescita culturale e, soprattutto, senza dimenticare chi sono, da dove vengono, e per quali ragioni sono dovuti partire.
A suggello poi della particolarità di questo incontro, Antonio Abbruzzino, presidente regionale dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani, cucinerà per i presenti – oltre un centinaio di persone - una selezione e rielaborazione dei tanti piatti descritti nei libri di Abate, per celebrare la simbiosi fra letteratura e gastronomia, e l’importanza che quest’ultima riveste proprio nella memoria dei calabresi che vivono lontano dalla propria regione.
Prima della presentazione del romanzo di Abate, la scena del Festival era stata occupata invece da un dibattito-intervista sulle lotte agrarie e i fatti di Melissa del 1949, in cui tre contadini vennero uccisi nel tentativo di strappare al latifondismo un terreno incolto, ovvero l’ultimo tentativo di scongiurare la loro emigrazione per fame.
“La disperazione, ed insieme la risolutezza dei contadini di Melissa” dirà lo scrittore “è in fondo la stessa che dimostrano tutti i protagonisti dei miei libri”: profughi, emigrati, gente di terra. Gente disperata, naturalmente, che però, continua Abate “decide di prendere la vita di petto e lotta per il proprio destino senza aspettare che il cambiamento arrivi dall’alto”.
Qualche minuto prima, lo scrittore Domenico Cacopardo aveva introdotto Abate descrivendolo soprattutto come uno scrittore del viaggio. Come il viaggio degli emigrati che partivano dalla Calabria, e che partono tutt’ora (buona parte della platea ne è testimone diretta), in cerca di lavoro, e della ricchezza intesa come cessazione della fame. O come il viaggio degli albanesi arrivati in Italia cinque secoli fa, per fondare i paesi delle comunità Arbrëshe: una specie di novelli Ulisse, alla ricerca della libertà.
Questi personaggi storici, di cui poco e niente si sa, tranne del fatto che qui sono venuti, ne “Il mosaico del tempo grande” incrociano magicamente il loro destino con quello degli albanesi, che sul finire del novecento hanno preso il mare per raggiungere l’Italia ed incontrarsi poi casualmente con i discendenti dei propri antenati: ciò che ne viene fuori, nella fantasia dello scrittore, è un intreccio di tante storie, dense di dolore, di scoperte, ma soprattutto di amori che sono alla base di questo suo nuovo romanzo, e che solo la lettura potrà svelare.
“Lo stesso incontro” rivela Abate ”noi lo vivemmo sul serio a Carfizzi, quando per la prima volta nell’84 conoscemmo gli albanesi, quelli veri, appartenenti ad un gruppo folkloristico itinerante. “Prima di allora” continua l’autore “gli albanesi eravamo noi, e solo in seguito a quell’incontro ci scoprimmo invece Arbrëshe”.
Razza creola, frutto di un miscuglio genetico e culturale fra albanesi e calabresi, proprio come la lingua che in questo romanzo, come in tutti gli altri, rappresenta il tratto distintivo di Abate.
Guido Conti, scrittore e giornalista della Gazzetta di Parma, oltre suo amico di vecchia data, accomuna quindi Abate a quegli autori che, come Silvana Grasso o come taluni autori bolognesi, sono in grado di “affondare la penna nella terra”, attraverso un linguaggio caratteristico che “riforma e restituisce l’identità” linguistica e culturale ad un paese come l’Italia, in cui - ribatte Cacopardo - “l’unica identità nazionale è rappresentata da una lingua che però non è unica, ma profondamente articolata nel territorio”. Quindi densa di anime ed identità differenti. Come un grande mosaico, appunto.