L’Adige
Martedì 23 gennaio 2001 - p. 13
Cultura


Intervista a Carmine Abate

«Una lingua multiculturale»


Franca Eller


Joseph Brodskij dal suo esilio americano era solito dire che aveva due lingue, quella del passato, della memoria, e cioè la lingua russa per la sua poesia, e quella del presente, l´inglese della sua prosa. E´ così anche per lei?"
«Sì, in un certo senso è così, anch´io ho la lingua del cuore, "gjuha e zemeres", e quella del pane, "gjuha e bukes", ma sono quasi un analfabeta per la mia lingua del cuore, l´albanese antico, e mi considero con qualche senso di colpa un "transfuga linguistico" per aver dovuto scegliere la "litire", la lingua straniera per comunicare».
Ma scrivere in una lingua straniera le ha forse evitato di cadere nella trappola degli stereotipi in cui sono incappati molti buoni scrittori del Sud.
«Certo, questa lingua/distanza mi ha fatto da filtro ed è stata allo stesso tempo la chiave per riappropriarmi dei miei luoghi, per raccontare i miei personaggi visti in un orizzonte più ampio: attraversati, più o meno consapevolmente, dal mio stesso plurilinguismo e multiculturalismo».
Cosa ci dice delle sue storie germanesi?"
«Vivendo fra gli emigrati di molti paesi diversi, ho scoperto che veniva usata una strana lingua, nuova, fatta di un tedesco addomesticato, ibridato con vocaboli, espressioni gergali delle lingue d´origine, utile per potersi comprendere reciprocamente: era questo il "germanese": il frutto di un´ingiustizia sociale, l´emigrazione, che ho cominciato a denunciare».
Nasce da lì la sua esperienza con la Polikunst?
«Sì. La Polikunst è un´associazione culturale creata negli anni ´80 da scrittori e artisti residenti in Germania ma provenienti da ogni parte del mondo: gente che, come me, si è trovata a vivere fra due o 3 culture diverse e ne ha colto gli aspetti positivi. Ci accomunava la voglia di uscire dai ghetti culturali delle proprie nazionalià, di aprirci, di trovare nuove strade per dialogare, e così superare i pregiudizi reciproci e gettare le basi per una letteratura multiculturale. All´inizio ci fu l´esigenza di usare il tedesco come lingua veicolare, poi venne il germanese, e la multiculturalità linguistica».
Sarà questa - una letteratura multiculturale - la salvezza di quelle che Canetti chiamava «le lingue tagliate»?
«E´ già questa; ed è l´unica salvezza possibile. In questo mondo ormai fatto di grandi masse che si spostano, a leggere l´ormai nutrita letteratura di immigrati/emigrati che hanno adottato e rielaborato la lingua del paese ospite, mi sembra di ascoltare un´ unica grande storia corale. Pensiamo a Tahar Ben Jelloun, a Ben Okri, all´italo-canadese Nino Ricci, ai molti altri che hanno immesso nella lingua ospite brandelli della loro "lingua del cuore": tutti loro hanno portato linfa nuova: "altri" sguardi, storie, metafore, immagini, ritmi, sensibilità nelle ormai esauste letterature nazionali della vecchia Europa: non si potrà più raccontare la società multiculturale del 2000 senza tenere conto delle tante storie dei mondi d´origine portate nella valigia e mescolate con le nuove storie del mondo d´arrivo».