L'Adige
9 marzo 2002

L´autore calabrese sa disegnare con mano felice luoghi, atmosfere, ideali, passioni e personaggi
Impasto di realtà e fantasia


Successo del romanzo «Tra due mari» di Abate

di GIUSEPPE COLANGELO

La prima osservazione che mi sento di fare dinanzi al nuovo romanzo di Carmine Abate "Tra due mari", appena uscito da Mondadori, è che si tratta ancora e sorprendentemente di un libro straordinario. Dico "ancora e sorprendentemente" perché avendo già Abate pubblicato due romanzi di così grande valore come "Il ballo tondo" (1991) e "La moto di Scanderbeg" (1999), sospetto che non fosse per nulla facile mantenere e riconfermare il loro livello.
Io credo che egli ci sia riuscito benissimo e vorrei qui provare a indicare quelle che mi sembrano le ragioni più probanti di tale esito. A cominciare dalla più evidente, e cioè il fatto che anche questa volta Abate ha saputo inventare una storia densa e avvincente dove gli elementi realistici si fondono mirabilmente con quelli fantastici.
Esemplifichiamo subito, ricorrendo all´immagine da cui ha certamente preso l´abbrivio la narrazione e che Abate ha poi sviluppato fino a farla diventare il centro, forte e suggestivo, intorno al quale ruotano tutte le vicende del romanzo: il Fondaco del Fico.
Anche se oggi non ne resta che un povero muro annerito e sbrecciato, perso in un mare di rovi e sterpaglie, è realmente esistita in Calabria una locanda con quel nome. Ed è vero che ha ospitato molti importanti viaggiatori stranieri, tra i quali il celebre autore dei Tre moschettieri, che l´hanno poi ricordata nei loro diari, nei loro resoconti, nelle loro opere.
Così come è vero che l´etnologo calabrese Vito Teti citato in un punto saliente del racconto quasi in veste di notaio che ne certifica l´autenticità, ha scritto un saggio sul "Fondaco del Fico".
A questo materiale sapientemente "rubato" alla realtà e già di per sé potente, lo scrittore calabrese ne mescola altro frutto di pura fantasia (l´eroico sogno del protagonista, la sua amicizia col grande fotografo Hans Heumann, la trovata, splendida, dell´albo manoscritto dimenticato da Dumas nel Fondaco del Fico) e lo fa con tale maestria da rendere del tutto impercettibile la distinzione tra le due dimensioni del racconto. Le quali sono - come dire? - consustanziali. E vitali entrambi. Ne nasce allora un impasto narrativo capace di tenere sempre viva ed emozionata l´attenzione di chi legge.
Ma Abate non è solo un abile architetto di storie ammalianti, Abate sa anche disegnare con mano sicura e felice luoghi, atmosfere, ideali, passioni e personaggi che non si dimenticano. Memorabili sono in questo romanzo, Giorgio Bellusci con il suo sogno confitto nella carne e nell´anima ("[…] dentro di lui il Fondaco del Fico c´era già e cresceva come una pianta ciòta, quelle che sopravvivono anche tra le pietre dei muri, con una goccia d´acqua e due granelli di terra, ma che diventano le più belle. L´importante era di non estirparne le radici […], tutto il resto si fa, col tempo, cresce, resiste pure ai terremoti della vita se le radici sono vive e sanguigne come la robbia"); e Rosanna Bellusci che alimenta, incoraggia e protegge il sogno del padre con il suo affetto, con la sua determinazione, con la sua cultura ("Fu la mamma che provò a risollevare il morale del padre, nell´unico modo possibile rievocando i tempi felici in cui il Fondaco del Fico era la locanda più famosa della Calabria o almeno la più citata dai viaggiatori stranieri dei secoli scorsi. Lei, da brava insegnante, conosceva i nomi di quei viaggiatori a memoria e li spalmava sul panino a ogni occasione, anche ad Amburgo, soprattutto se a casa nostra c´erano ospiti tedeschi"); e Florian, naturalmente, figlio di Rosanna e voce narrante, dapprima scettico e spaesato - lui nato e cresciuto in Germania - poi, via via, sempre più conquistato dalla figura del nonno calabrese e dal suo sogno ostinato.
E neppure si dimenticano gli intensi flash-back sul passato, che inserendosi con assoluta naturalezza nel flusso narrativo fanno riemergere alcuni snodi significativi della vicenda familiare del protagonista incrociati con quelli, non meno rilevanti, della storia della Calabria dall´epopea garibaldina al brigantaggio; né gli incontri d´amore tra Florian e la sua ragazza, Martina, intessuti di fresca e intrigante sensualità. Per non parlare, infine, del paesaggio.
Che non è mai elemento decorativo, semplice sfondo o bozzetto convenzionale bensì segno netto, lavorato col bulino, che contribuisce in modo rilevante a delineare i tratti peculiari di una terra, la terra "tra due mari".
Chiudi il libro e ti restano dentro, indelebili, i suoi colori, i suoi sapori, i suoi odori, forti come le passioni, come le lotte, come le delusioni, come le speranze di chi in quella terra abita e vive.
Eccole dunque, in sintesi, le ragioni della piena riuscita di "Tra due mari": ingredienti che fanno davvero romanzo (un intreccio ricco e vario, una fabula costellata di azzeccati andirivieni, personaggi di grande spessore, luoghi còlti nella loro essenza profonda) giocati con una sapienza compositiva di prim´ordine. E su tutti quello che tutti li nutre, li armonizza e li esalta: il linguaggio.
Quanta bella freschezza, quanta vitalità emanano le pagine di questo libro! Se ne viene subito catturati e altrettanto presto si riscopre che l´arte affabulatoria di Abate ha la sua fonte primaria proprio nel linguaggio. Un linguaggio pieno di energia, di estro, di movimento da cui germoglia una scrittura che sa essere ora evocativa, ora ironica, ora analitica, ora cantabile, senza mai un cedimento, senza mai una zeppa, senza mai una caduta.
Con questo romanzo Carmine Abate conferma gli alti risultati già raggiunti e si accredita come uno degli scrittori più originali e completi dell´attuale panorama letterario italiano. Si tratta di un successo che non arriva inaspettatamente, visto l´accoglienza riservata ai romanzi precedenti, ma non era sicuramente impresa facile confermarsi a quei livelli. Risultato raggiunto.