Il Sole-24 Ore
Domenica 16 maggio 1999


Carmine Abate

Se il destino ti offre una fuga


di Ermanno Paccagnini



Non so come si stiano muovendo le varie maestranze premiolitane. Un fatto però mi è chiaro: sarebbe un delitto se il ben noto sbracamento editorial-marchettaro finisse per sacrificare un romanzo come La moto di Scanderbeg, dal felice esito narrativo conseguito con mezzi stilistici inusuali, stante la non facile disposizione dei materiali. Un romanzo che si radica nella cifra del movimento, e di cui la "moto" Guzzi Dondolino del titolo può ben darsi quale metafora. Un movimento dal difficile, contrapposto equilibrio, perché nel segno, insieme della ricerca e della fuga, con tale storta di "mordi e fuggi" giostrato a più livelli. Nel rapporto tra realtà, sogno, mito, desiderio. Nella interiorità di una ricerca che è al tempo stesso personale del protagonista Giovanni Alessi (in cui - e sto alla sola valenza esteriore - leggo componenti autobiografiche); ma che pure coinvolge realtà riflesse, quasi da dialettici suoi alter ego - ma dalle ansie consimili -, come la fidanzata Claudia, e anche Stefano, l'amico che si fa storico delle proprie radici salvo sfuggirne il diretto contatto.
Strutturalmente il romanzo è infatti, insieme , storia interna e storia esterna, scandite nel segno stilistico d'una polifonia dai vari registri: ove la narrazione del protagonista stesso, fra tratti di pagina scritta di sospesa levità e tono di densa e cadenzata oralità, si muove entro prologhi alle parti ed epilogo da racconto orale della comunità di amici. Coi vari quadri che ti si vanno componendo davanti come se davvero te li sentissi "raccontare", "detti oralmente" persino avvertendo nelle orecchie della mente la cadenza della pronuncia arbërisht, ossia la lingua degli albanesi in Italia, qui emigrati secoli fa dagli anni del tempo Grande di Scanderbeg e della Fuga di Sopravvivenza dai turchi. Ed è un racconto, quello del protagonista, che per via associativa, e a tratti addirittura analogica, investe diversi piani: dalla realtà; ossia dell'oggi nella terra natale a Hora (Calabria), ma anche nella Köln come emigrante; ma pure del doppio mito, quello anche storico del vero Scanderbeg; e quello popolare e personale della sua reincarnazione nel proprio padre, soprannominato Scanderbeg «perché odiava le ingiustizie e i prepotenti»; come dell'affabulazione orale della propria madre, o dello stesso padre che parla dentro il cuore di Giovanni La conseguenza è la circolarità della struttura, che coinvolge la temporalità: con l'ieri dell'infanzia e dell'adolescenza o magari anche solo pochi mesi prima e l'oggi in Germania o Calabria che trascorrono con fluidità, a tratti inavvertitamente, l'uno nell'altro, senza soluzione di continuità: da “ballo tondo", direi, richiamando il primo, poetico e fortunato romanzo di Abate. Tutto a segare soprattutto un destino di ricerca e insoddisfazione proprio di occhi "che guardano lontano", dentro l'intero mondo assunto come paese straniero, in cui cercare. Un destino di estraneità: ma a ogni possibile, definitivo rinvenimento. Destino di fuga, quindi: quasi a mo' di sottrazione al preannuncio di morte precoce vaticinato da Stefano, il ragazzino «dagli occhi di calamita» fattosi storico. Una fuga di sopravvivenza: ma a e in se stesso. Soprattutto, però: fuga e volontà di sottrarsi a ogni soluzione significante un ubi consistam. Questo sì, ritenuto forse davvero mortale per l'avventura della vita.