Famiglia Cristiana
Venerdì 16 giugno 2000 - p. 118



Il canto della tradizione albanese dà il ritmo al racconto di Abate
“Il ballo tondo”, che ora esce in una nuova versione, descrive la singolarità ella comunità “arberesh” attraverso gli occhi di un ragazzo

di Fulvio Panzeri



“La moto di Scanderbeg”, il romanzo di Carmine Abate sulle influenze della cultura albanese in Italia, è stato la rivelazione della scorsa annata letteraria. Un tema di grande attualità che Abate aveva già messo a fuoco in modo quasi perfetto nel suo primo romanzo, “Il ballo tondo”, uscito agli inizi degli anni Novanta? Per quanto avesse ricevuto scarsa attenzione in Italia, quel romanzo è stato tradotto in Germania, in Albania e in Kosovo. Ora l’editore Fazi ripubblica il romanzo, in parte rivisto dallo scrittore.
Ci troviamo di fronte a una vicenda corale che presentala vita e la tradizione culturale di Hora, una comunità “arberesh”, in Calabria, il cui simbolo è quello di un’aquila, la stessa che aveva guidato gli “arabeshe” dall’Arberia, una regione albanese, in Italia. Protagonista è Costantino, il figlio più piccolo di Francesco Avati, detto il Mericano. Attraverso i suoi occhi viene presentata la singolarità delle persone che lo circondano e segnano la sua crescita: il padre, emigrato in Germania, le due sorelle, Orlandina e Lucrezia, il maestro di scuola, al quale i ragazzi chiedono con insistenza di parlare in “arberesh”, senza dover subire nessuna punizione e infine il nonno con la sua saggezza e la sua ironia, con il suo passato carico di memoria e reso matico dal forte legame con la tradizione.
la scrittura è sorprendente magica in questo libro, che rimanda ai ritmi della cultura popolare. e’ un ritmo rapsodico, zingaresco a guidare la scrittura, tanto che lo stesso Abate nella postfazione sottolinea quanto lo stile debba all’eco della rapsodie cantate o recitate dalle donne anziane nella sua infanzia in Calabria.
Questo romanzo ci interroga sul tema dell’accoglienza e del rispetto delle culture diverse dalla nostra. “Il ballo tondo” infatti scandaglia le contraddizioni tra due mentalità: la fedeltà ad un passato arcaico, con le sue mitologie, le feste, i riti collettivi e le esigenze di un presente sempre più teso alle tentazioni della modernità. Con il rischio di cancellare un patrimonio antichissimo, tramandato per secoli di generazione in generazione.
E’ poi assolutamente inedito il ritratto (e la sua ricchezza espressiva) che Abate presenta di un popolo come quello albanese che già, nel 1400, guidato dall’eroe Scanderbeg, ha scelto, dopo la sconfitta contro i turchi, la via, seppur dolorosa, dell’esilio in terra straniera, in una condizione di libertà, “piuttosto che schiava in casa propria”. Un prezioso spunto per capire come il flusso migratoria di oggi non sia nuovo né assolutamente casuale.