Il mattino
Giovedì 2 Agosto 2001



Terra d’Hora


di Generoso Picone


Certe verità si apprendevano andando alla fiera estiva. Fino a quel giorno si poteva anche del tutto ignorare da quale angolo remoto del passato e della terra venissero le parole che tra loro i genitori e soprattutto i nonni si scambiavano in casa, in una lingua ossuta e aspra, piena di consonanti e senza articoli: e poi le storie, popolate di personaggi dai profili mitici e dall’epica quasi cinematografica. Chissà perchè, ma giusto allora arrivava il momento della rivelazione: i grandi narravano la vicenda delle proprie origini, il filo appariva finalmente legato ed era superata la linea d’ombra dell’identità, a otto nove anni si poteva capire di essere arbereshe, albanese d’Italia.
Carmine Abate racconta così, nel romanzo Il ballo tondo, come si diventava uomini a Hora, la sua Macondo, l’Heimat d’Arberia. A cercarla sulla carta geografica, si trova in Calabria, provincia di Crotone, si chiama Carfizzi: 800 abitanti d’inverno e il doppio d’estate, «Quest’anno in prima elementare era iscritta una sola bambina: il problema è questo, i vecchi muoiono e non si nasce più» si rammarica Abate, forse pensando alle fiere estive dove nessuno andrà più. È un paese della patria albanofona, la terra di andata di nove migrazioni e sei secoli di arrivi senza più partenze, un’area larga che va dalla Sicilia all’Abruzzo, con una scheggia solitaria nell’irpina Greci, ma che tocca pure la lontana Milano che dell’Arberia potrebbe essere addirittura la capitale se riesce a raccogliere diecimila dei centomila arbereshe sparsi in Italia. Sparsi, cioè mescolati in una diaspora esplosa dall’altra parte dell’Adriatico, avviata nel 1399 e non ancora finita, con la nona migrazione che porta la data d’inizio del 1990 e si alimenta con gli sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi, con i drammi nel Kosovo che scaricano disperati oggi assolutamente inconsapevoli di trovare sulle sponde promesse antichi fratelli nella memoria.
Carfizzi, come ogni paese arbereshe, si trova su una collina da dove quando il cielo è terso si può vedere il mare. E come ogni centro d’Arberia ha la sua piazza con l’immagine dell’aquila bicipite raffigurata in terra, e qui domani si celebrerà la «Festa del ritorno». È il giorno di Hora, in cui i padri, i figli e i nipoti s’incontrano e quest’anno con una particolarità: verranno letti brani tratti dai libri scritti da Carmine Abate il quale a sua volta ha fatto in modo che dal Trentino vengano dei gruppi musicali a cantare e suonare testi in arbereshe. Mescolanza autentica, e si deve decisamente ad Abate: narratore tra i più interessanti, nato 46 anni fa a Carfizzi, università a Bari e trasferimento in Germania dove i genitori Michele ed Eugenia erano emigrati e da una decina d’anni in Trentino, per insegnare a Besenello, Carmine Abate attraverso le sue ricerche (I germanesi, pubblicato prima da Campus in Germania nel 1984 e poi in Italia da Pellegrini nel 1986), i suoi romanzi (Il ballo tondo uscito nel 1991, La moto di Scanderbeg del 1999 e appena riproposto da Fazi), le sue poesie (Terre di andata del 1996) è diventato la punta avanzata dell’espressione culturale arbereshe. A lui è dedicato un link nel portale internet «Arberia», che è il ricco strumento di comunicazione informatico della dispora e che meglio di ogni altro mezzo rimanda puntuale ad appuntamenti, pubblicazioni - il trimestrale «Katundi Yne», «Paese nostro», innanzitutto - , a riflessioni e dibattiti, a centri studi, a dizionari, a mostre d’arte.
Carmine Abate torna a Carfizzi ogni estate. Dalla colline dell’aquila bicipite si guarda intorno e scorge i confini dell’Arberia, San Demetrio Corone e Macchia Albanese, la millenaria chiesa di Sant’Adriano e il festival musicale dove suonerà un gruppo che ha accompagnato pure Manu Chao, la casa museo di Gerolamo De Rada, considerato per il Milosao il Dante della letteratura albanofona, e Vaccarizzo, dove in una comunità lavorano gli albanesi della migrazione di oggi, San Nicola dell’Alto, dove don Giovanni Giudice tiene messa in arbereshe seppur con rito cattolico e non greco-ortodosso. «Mescolanza religiosa», commenta Abate: «È questa la maniera migliore per rivendicare la propria identità, senza rivendicazioni di purezza etnica. Mescolarsi: fu mia moglie ad aprirmi gli occhi. Lei studiò Carpizze da socio-antropologa, laureata a Trento e allieva di Norbert Elias, e mi fece capire la ricchezza di questa tradizione. I germanesi è stato scritto con lei». Lei è Meike Behrmann, dal matrimonio con Carmine sono nati - in Germania - Michele e Christian, che parlano tre lingue, italiano, tedesco e arbereshe, e a Carfizzi giocano felici. A pensarci bene, sono davvero l’umanità del futuro.