L'Adige, 20.4.2004

Abate, è vera festa
L´ultimo libro, una narrazione straordinaria

Si apre il libro a una qualsiasi pagina e si trovano paragoni saporosi, impasti lessicali
di GIUSEPPE COLANGELO

Da quando all´inizio degli anni Novanta è apparso sulla scena letteraria nazionale, Carmine Abate non ha sbagliato un colpo.
Se con il romanzo d´esordio "Il ballo tondo" (Marietti, 1991; poi Fazi, 2000) aveva subito fatto vedere il suo straordinario talento narrativo, con le prove successive ha pienamente confermato tutte le attese suscitate. Oggi, dopo le pagine - tra le più dense e coinvolgenti che si possano leggere da noi - di opere come "Il muro dei muri" (Argo, 1993), "La moto di Scanderbeg" (Fazi, 1999) e "Tra due mari" (Mondadori, 2002) egli è considerato scrittore di statura eccezionale da un numero crescente di critici, italiani ma anche stranieri. Valga, a mero titolo d´esempio più recente, Philippe - Jean Catinchi, che su "Le Monde" (27 febbraio 2004) lo ha definito "bâtisseur de rêves" e "formidable conteur".
Un giudizio assai lusinghiero che nasce, come è già avvenuto in Italia, dal puro, spassionato (e starei per dire inevitabile) riconoscimento delle oggettive qualità dello scrittore calabrese: la capacità di condensare in folgoranti figure romanzesche complesse vicende individuali e collettive; la nativa attitudine a intrecciare in modo affascinante mito, cronaca e storia e, last not but least, uno stile potente e profondamente originale. Sono, a ben guardare, le doti peculiari del conteur. E cioè propriamente del narratore più che dello scrittore: lo scrittore può praticare la scrittura come puro "esercizio di stile" non dettato da un´intima necessità; il narratore inventa una sua lingua per rendere al meglio il viluppo incandescente di ricordi, di fantasie e di sentimenti che gli urgono dentro. Abate allora è, nel senso forte della parola, un narratore, o meglio - come dice Philippe Jean Catinchi - "un formidabile narratore". E lo è non soltanto in virtù delle cose che ha già scritto, ma anche di quelle che continua a scrivere come appare chiaro dalla sua ultima fatica letteraria, approdata da pochi giorni in libreria.
Si intitola "La festa del ritorno" (Piccola Biblioteca Oscar, Mondadori, pp. 168, euro 7,80) questo nuovo libro di Abate ed è un romanzo che conquista il lettore sin dalle prime pagine avvolgendolo in una piacevole rete di fascinosi snodi narrativi continuamente vivificati da un linguaggio ricco di estrosa energia.
Al centro del racconto, ambientato in un paese arbëresh della Calabria in un periodo grosso modo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo da poco trascorso (ma si ricordi che la fabulazione abatiana basata com´è su continue commistioni fra reale e fantastico, storia e invenzione, non prevede gabbie cronologiche troppo precise) ci sono le vicende di un ragazzo tredicenne, Marco, e di suo padre Tullio emigrato in Francia per assicurare un futuro ai suoi figli. I due, nello stesso tempo protagonisti e voci narranti, si alternano nel raccontarsi/ci i momenti salienti delle loro esistenze sospese tra separazioni e ricongiungimenti. Le loro storie, affidate ad una serie di appassionanti flash-back, si sovrappongono e si intrecciano in un movimento narrativo a spirale che svelando la realtà per pennellate progressive riesce a tenere sempre alta la nostra attenzione.
Parla Tullio e sequenza dopo sequenza vediamo svolgersi la sua vita di emigrante fatta di lavori massacranti ma anche di speranze e progetti che lo aiutano ad affrontarla sempre con grande dignità e coraggio.

Tullio è vitale, positivo, risoluto e sa raccontare molto bene. Rimangono impressi i passaggi in cui ricostruisce l´episodio della sua ribellione alle bestiali condizioni di lavoro in miniera ed è assolutamente memorabile la pagina in cui dopo aver descritto significativi esempi di collaborazione tra operai di diversa nazionalità non manca di stigmatizzare così la loro abitudine a farsi concorrenza per guadagnare di più con il lavoro: "Questa era l´unica invidia tra di noi. Un´invidia ciotìsca, lo ammetto, un misto di fessaggine ciuccigna e fame arretrata, fame di soldi che a casa tua avevi solo visto col binocolo".
Parla Marco e riviviamo il suo smarrimento, la sua rabbia durante i periodi di lunga assenza del padre ma anche la magia di un´infanzia vissuta intensamente tra mille giochi e avventure dentro una natura ancora selvaggia ed esuberante. Marco è vivace, impavido e sa quello che vuole fin da piccolo: il ritorno definitivo del padre.
Sul robusto tronco di queste due narrazioni principali si innesta poi la vicenda della figlia maggiore di Tullio, Elisa, che presa nel vortice dell´amore per un uomo misterioso, prima tenero, poi aggressivo fino alla violenza, mette a repentaglio i solidi legami affettivi di tutta la famiglia.La conclusione, davvero singolare e inattesa, di questo episodio e insieme dell´intero racconto, è il degno suggello di un romanzo bello e avvincente dall´inizio alla fine. A tale risultato l´autore è potuto arrivare sia costruendo un intreccio accattivante e dinamico sia, e specialmente io credo, inventando un linguaggio inaudito. Si apre il libro a una qualsiasi pagina e si trovano paragoni saporosi, impasti lessicali inediti, costrutti sintattici capaci come pochi di catturare il fresco sapore dell´oralità. Le intersezioni tra italiano dialetto calabrese e lingua arbëreshe non sono mai esornative né cervellotiche ma solo perfettamente funzionali al contesto. Il tutto contribuisce a creare musicalità, ritmo narrativo, densità descrittiva, luminosità espressiva. La festa del ritorno è anche una festa della scrittura.

La prima presentazione ufficiale in Trentino del nuovo romanzo di Carmine Abate ("La festa del ritorno") si terrà oggi alle ore 17,30 alla Biblioteca Ciovica "Tartarotti" di Rovereto. L´assesorato alla cultura del Comune di Rovereto e la Biblioteca, festeggiano infatti in due date la "Giornata mondiale del libro" promossa dall´Unesco.