devilishly stylish (blog) -   19/10/2015

 

La felicità dell'attesa
di
MakeMeUp

Non avevo mai letto nulla di quest'autore, e ringrazio molto Mondadori per la possibilità di scoprirlo, e di apprezzarlo.
L'obbiettivo di quest'anno era quello di leggere più autori italiani, e quindi cominciamo con il dire che questo romanzo è fortemente "italiano": la vita di paese, il senso della famiglia e delle tradizioni, persino la visione distorta dell'America propria di chi non l'ha mai vista caratterizzano le prime pagine del romanzo, con uno stacco abbastanza veloce al 1946 con il figlio di Carmine Leto, Jon, diretto a sua volta negli Stati Uniti alla ricerca dei fratelli Malvasia, forse responsabili della morte del padre.

Esplorerà l'America al seguito di Andy (che lo prende sotto la sua ala per riconoscenza, memore dell'aiuto offertogli da Carmine quando era solo un bambino), dopo essersi invaghito di una Norma Jeane non ancora diventata Marilyn Monroe e di cui penserà che è "così bella che pare un'attrice".
Jon si muove in una Brooklyn ora dimenticata, quella degli emigrati italiani, e forse non c'è momento migliore di questo per ricordare che un tempo non troppo lontano noi eravamo dall'altra parte della barricata. Non siamo così diversi da chi oggi cerca un futuro migliore nel nostro Paese, e non ci è tutto dovuto solo per essere nati nel posto giusto al momento giusto.

Chiusa questa brevissima parentesi, il romanzo di Abate oltre a trasportarci in un mondo diverso grazie ai costanti riferimenti storico-culturali, ci fa anche respirare un'aria differente: dai profumi del paese di Hora agli odori delle strade di Brooklyn. E che dire dei rumori, dei canti, del suono singolare di una lingua quasi scomparsa come arbëresh?
Carmine Abate non si limita a raccontare una bella storia, dipinge un vero e proprio affresco culturale di quelle che sono le nostre radici più profonde.

Mi è piaciuto moltissimo il capitolo 49, del quale è protagonista Andy Varipapa: legato alla famiglia Leto da un gesto gentile compiuto da Carmine nel 1903, la sua storia si intreccia a più riprese a quella di Carmine prima e di Jon dopo. Una sorta di personaggio-spalla ricorrente, che ho trovato estremamente frizzante e spigliato, e che mi è piaciuto molto.

Ho apprezzato molto anche l'aspetto vagamente "giallo" del romanzo, con questi fantomatici assassini da trovare, e con la morte di Carmine Leto da vendicare.
Il lettore attende con curiosità una spiegazione, o qualche indizio, fin dalle prime pagine, e Carmine Abate riesce a bilanciare alla perfezione la tensione tipica del genere e la lentezza con cui si snoda invece la storia della famiglia.

Le saghe famigliari mi hanno sempre affascinata, da quella classica per l'infanzia di "Piccole donne" a "Strade di polvere" di Rosetta Loy, ed è in questo gruppo di libri amati, letti e riletti a distanza di anni che voglio inserire questa lettura.
Un libro in cui i protagonisti crescono, cambiano, evolvono, e con loro i loro sogni e le loro ambizioni. Alle diverse generazioni corrispondono una diversa visione del mondo e un bisogno diverso, seppur ricorrente, di restare legati alle proprie radici: sia ripensando con nostalgia alla propria terra d'origine, sia scegliendo di tornarci.

Consigliato a chi ama le saghe famigliari, ma anche a chi ama leggere delle piccole e grandi realtà del nostro Paese e a chi, a differenza mia (ma rimedierò!), ha già avuto modo di apprezzare la splendida prosa di Carmine Abate.