Bottega di lettura, 18 marzo 2007
 

Carmine Abate, Il mosaico del tempo grande
di Giorgio Morale

Due anni fa lessi i libri di Carmine Abate in una settimana e da allora ogni suo nuovo libro è un evento.

Ne Il mosaico del tempo grande s’intrecciano tre storie principali. La prima è quella dell’emigrazione degli Albanesi, in fuga dai Turchi e guidati dal papàs Damis, in Calabria, dove fondano Hora, immaginario centro arbereshe: non è solo una rievocazione favolosa, è la storia originaria in cui s’innerva l’attuale, poiché è vitale “collegare il passato al presente… Solo così il tempo grande avrà un senso”. Il tempo grande è ciclico, ma non immobile come quello del Macondo di Cent'anni di solitudine; è sostanziato da fiducia nella vita e nel fatto che, nella vita, qualcosa accade. “Non importa quando succedono i fatti, il tempo è grande se ti lascia una traccia dentro”.

Il capitolo intitolato La fuga è uno dei brani più belli. La scrittura di Abate è più pulita e sicura che nei pur bellissimi libri precedenti. La frase, ritmata, assume l’andamento del parlato, come quella di Pavese, il cui Lavorare stanca è citato tra le letture del protagonista. La parola si fa trasparente e cantata e s’impreziosisce di rare bellezze. “Cielo e acqua. Acqua e cielo. Acqua di mare e all’improvviso acqua di cielo… La pioggia picchietta sul legno dell’imbarcazione, sul pelo nero del mare, acqua su acqua, acqua sul vomito”. E’ bello come la natura si faccia storia: “aveva sentito la carezza e la voce del vento che pareva piangesse per la morte del padre”. Ed è bello chiamare il Mediterraneo “il mare nostro”. Il nome era lì, da tempo, ma nessuno l’aveva usato come vivo e col trasporto di chi ha il Mediterraneo nel sangue. Adesso appartiene a noi, alla nostra letteratura, mediato dal mondo poetico di Abate.

Poi c’è la storia di Antonio Damis, discendente del papàs fondatore, che può realizzare come turista, al tempo della dittatura di Hoxa, il ritorno in Albania, e come l’antenato è condannato a una fuga dal paese natale: fuga d’amore, ma anche per conflitti che ripetono i conflitti dei padri. E c’è un progetto che attraversa i secoli, il radicamento nella nuova terra, materializzato nella costruzione di una chiesa: ritardata dallo smarrimento dell’oro raccolto dalla comunità, di cui vengono incolpati prima il papàs Damis e poi Antonio Damis. Questa storia, trattata come un “giallo”, riserva una sorpresa che non è bene svelare.

La terza è la storia dell’amore (“Tutte le storie sono storie d’amore” recita l’epigrafe) del protagonista, Michele, per la figlia di Antonio Damis, il più bel personaggio femminile creato da Abate: Laura, una giovane bionda che appena appare ci innamora, venuta a Hora per una ricerca antropologica, in realtà per preparare il rientro del padre. In questa storia converge la tensione del passato, con fughe, nostalgie, ritorni, progetti, amori, tradimenti. Nel contempo appare il presente della più drammatica attualità, dai rivolgimenti politici ai problemi dell’immigrazione clandestina che unisce le due sponde dell’Adriatico.

Filo conduttore delle storie è il mosaicista Gojari, custode della memoria della comunità, che racchiude nel suo mosaico e che dispensa ai giovani nei suoi racconti. In queste s’incastrano storie minori, ricostruite attraverso varie voci, come tessere combinate con sapienza architettonica ed evidenziate da una trattazione non frettolosa.

Il mosaico del tempo grande è il libro meno autobiografico di Abate. Anche se vi troviamo, in un quadro in cui la microstoria rispecchia la macrostoria, tutto il mondo dell’autore, “voci colori movimento” di Hora, che, paese del Sud, “sta morendo”, poiché “i giovani sono a lavorare nelle città del Nord o in Germania”. Con un’attenzione “scientifica” al contesto, che ha fatto parlare per le opere di Abate, come per alcune di L. Pariani, G. Cappelli, G. Lupo, R. Nigro, di “romanzo antropologico”.

Qui la facilità di scrittura di Abate si fa più affabulatoria che mai, combinando l’epica e il romanzo di formazione, il giallo e il sentimentale, con ascendenze veriste e gotiche. Nell’unitarietà di una storia bella e significativa, Il mosaico del tempo grande rappresenta la maturità dell’uomo e dell’autore, espressa in affermazioni di pregnanza aforismatica che è bello ricordare perché illuminano aspetti centrali della scrittura come esperienza vitale: “un filo invisibile… lega lo sguardo al cuore e dà profondità alla nostra vita”; “le storie le abbiamo dentro e attorno a noi, io non faccio altro che raccoglierle come frutti da un albero”.